Mia cugina mi
chiede pezzi intimisti e filosofici. Nel mezzo di una pandemia. Non so quanto
si possa scrivere senza aggiungere scompensi a tristezza. Per dirvi, io erano
tre settimane che avevo interrotto la lettura di Dan Savage. Non che metta di
cattivo umore anzi, ma mi sembrava troppo futile per tenere il passo con le
news sul covid-19.
Poi arriva il
giorno della saturazione, riprendi in mano qualche vecchia abitudine, ti cade
qualche lacrima sulle foto di Berlino 2019 e riapri quei file mai terminati da
anni. Con qualche licenza poetica, ecco a voi:
`Se almeno non
avessimo preso decisioni irreversibili nei mesi passati avremmo reso questo
lockdown più sopportabile con i soliti scazzi. O forse mi illudo. La verità è
che pagherei oro per qualsiasi tipo di normalità, perfino quella che ci vede
intenti a tirarci le pietre più appuntite dai muretti delle nostre incomprensioni.
La normalità del
nostro rapporto altalenante funzionerebbe meglio di quest’insipienza dovuta
alle comunicazioni messe in stand-by. E no, non ditemi che usciamo sui balconi
a cantare, applaudire, fare video chat. Tutto questo non ha niente a che vedere
con noi due, noi che eravamo distanti già prima e che – forse – lo siamo sempre
stati.
Mi illudevo che
avrei trovato la serenità. Via tu, via il dolore. Invece, tu non ci sei e non c’è
più nessuno che mi tenga sveglia la notte a imprecare; nessuno da mandare al
diavolo. Siamo io, i miei pensieri e il covid-19. Che non è un androide
umanoide, nessun finale alla Blade Runner.
Rivoglio indietro
la nostra storia obliqua. Solo il tempo di sopravvivere ad una pandemia. Ho
bisogno di litigare con un essere umano e non con la paura che si insinua sotto
pelle, nello stomaco, nei polmoni. Ho bisogno di sentirmi viva e non sapere di
esserlo solo perché’ domani mi attende un’altra fila al supermercato. Torniamo
sui nostri passi: giusto il tempo di divorare questa solitudine che ci
inghiotte. Avevamo previsto tutto, tranne il mondo che si ferma da New York a
Seul. Non so dove scappare. Siamo tutti impantanati in un eterno presente senza
futuro prevedibile: dammi almeno il conforto del passato.
Una pausa nella
pausa. No, sto mentendo, lo so che ci eravamo detti addio. Ma fingiamo sia
stato solo un arrivederci. La realtà della nostra delusione riesco a toccarla
con mano: basta nemici invisibili, regaliamoci il lusso di un impropero di
persona. A due metri di distanza, ma forse mai così vicini.`
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