giovedì 27 gennaio 2022

Belfast

 È difficile scrivere di questo film in maniera scevra da sentimenti molto personali, primo fra tutti il fatto che Belfast è casa mia da 12 anni ormai. Immagino sia per questo che riesco perfettamente a comprendere come, nel contesto nordirlandese, possa essere un film che delude alcuni e che tradisce altri, accontentandone pochi. Tuttavia, va riconosciuto a Branagh il fatto che, per una volta – e finalmente, aggiungo io – i Troubles vengono raccontati in modo intimo, senza grandi proclami politici anzi, con un voluto disinteresse per la “big picture”. Il film inizia e finisce in una strada, poche case, il tragitto per andare a scuola, i negozi di quartiere: è una visione che si concentra sugli individui, sui legami familiari e sulle emozioni. Dimenticate tutta la retorica fiorita intorno alla questione nordirlandese, perché nel film ne troverete davvero poca, e non lo sottolineo con disappunto. 

Spesso sento dire che noi italiani abbiamo tanto in comune con gli irlandesi. Ciò che mi si è palesato, dopo essermi goduta il luminoso bianco e nero di Haris Zambarloukos, è piuttosto che le comunità che vivono o hanno vissuto emigrazione, povertà, conflitti hanno lo stesso modo speciale di stare insieme. Perché dove non c’è nulla, o molto poco, resta solo il mutuo soccorso, i legami di sangue, la famiglia; rimane il ballare per strada stringendosi a quei vicini che rappresentano la vera ricchezza, quella rete di assistenza che offre senso e garanzia di sopravvivenza. È dunque la storia dei vinti che si assomiglia dappertutto. 

Eppure, son anche convinta che questa città, Belfast, abbia un’anima propria, che la rende diversa da altri luoghi. La si rintraccia in certe battute – chissà come saranno rese col doppiaggio - in quell’humor nero e un po’ grottesco che i nord irlandesi coltivano con orgoglio e che nel film è spesso presente, pur se sotto traccia. 

Un'ultima considerazione sugli attori. Jude Hill ruba la scena a tutti sebbene sia fin troppo facile farlo nei confronti di un Jamie Dornan particolarmente inespressivo, a differenza ad esempio della sua controparte femminile Caitriona Balfe, che regala al personaggio di Ma maggiori nuance interpretative. Judi Dench è sempre una garanzia, Ciarán Hinds si accaparra alcune delle battute migliori. Sorriderne insieme ad estranei, in un cinema inusualmente pieno di mercoledì pomeriggio, è stata senza dubbio un’esperienza emotivamente intensa. E questo mi basta per dichiarare, forse con una certa leggerezza, che il film vale la pena di esser visto. Possibilmente al cinema, possibilmente con uno sguardo privo di giudizi storici. 

sabato 22 gennaio 2022

Alfa

 Auto sportiva, ovviamente; blu aziendale, naturalmente.

Orologio importante al polso, sguardo sfacciato, sorriso sornione, chiacchiera blasé. Gemelli nelle occasioni speciali, fede al dito anche in quelle che lo son meno. Tributi convincenti all’oroscopo che ripaga con la massima benevolenza delle stelle in ricchezza, fama, prestigio.

Trasudi potere da maschio alfa, di quel genere per cui metà della popolazione femminile si strapperebbe le mutande ad un solo cenno e l’altra metà mente. Il politicamente corretto va a farsi benedire davanti all’erotismo atavico, arcaico e fatale che sprigioni. Niente che implichi una relazione umana vagamente accettabile: solo un rimescolamento di ormoni, una bomba atomica di lussuria e maledizioni. Maledizioni come quelle che tiro a me stessa per averti immaginato alla guida, essermi inebetita a guardare la scena in slow motion e aver iniziato a provare una vaneggiante lascivia alla quale i miei neuroni, nutriti a pane (gluten free) e femminismo si ribellano con forza.

Che fosse la gioventù a renderti irresistibile? La bellezza da dio greco, con tutti i muscoli in vista; il cipiglio del Marine nel taglio di capelli cortissimo; l’abbronzatura da surfista californiano strategicamente messa in risalto dall’essere sempre vestito di banco; sigaro e cicchetto per puro edonismo: semplicemente perfetto. Intossicavi con il tuo profumo di tabacco e cioccolato, davi alla testa come una vodka russa. Ammutolivi il pubblico con una carica erotica fuori dal comune ancora prima di scegliere chi sarebbe stato il destinatario della stessa. “Una notte con te può cambiare la vita”, ripeteva il coro della tragedia che si consumava sotto i fuochi d’artificio del tuo ego. E aveva ragione. Quella bellezza abbagliante si è spenta con gli anni, ma è stata sostituita da qualcosa di ancora più ancestrale: l’incarnazione del potere. Quel potere che hai sempre bramato e che tiri via a morsi da chi ti circonda. Tu te ne nutri e il sapore di quel sangue si pregusta anche sulle labbra di chi ti desidera. Seducente per vocazione, necessità e destino, coltivi quella malìa per essere osannato e voluto, per fare e disfare vite con uno schiocco di dita. Una specie di malsana pubblicità anni ‘50 in cui precipiti sì nel vuoto di un grattacielo ma poi, con noncurante presuntuosa eleganza, fumi l’ennesima sigaretta arrotolata con le illusioni. Altrui.