giovedì 25 marzo 2021

Cronaca di un'autopsia

Ho vissuto una relazione tossica. Lui era un narcisista, ma io non lo sospettavo. Io ne ero dipendente e ossessionata.

Mi piacerebbe poter dire che è durata appena qualche mese ma la verità è che questa persona si è insinuata nella mia vita per qualche anno. 

Il tempo comunque conta poco: anche un solo giorno è un giorno di troppo. 

La mia fortuna è stata essere relegata in un ruolo che non mi poteva appartenere e perciò essere riuscita a vederne tutte le contraddizioni, prima di essere invischiata totalmente nella sua vita. 

Sempre che ne avesse una.

Una relazione tossica con un narcisista inizia per tutti allo stesso modo: con una chimica speciale, qualcosa che non hai mai provato prima e a cui non puoi opporre resistenza. Può essere attrazione, erotismo, intesa cerebrale: qualsiasi cosa sia, è totalizzante, assoluta, ineluttabile.

La verità - ma questo lo scopri in genere tardi - è che si tratta di un’illusione. Un narcisista modella il proprio comportamento in base a chi ha di fronte, così da conquistarlo senza che vi sia alcuna opposizione razionale. Finge spudoratamente di essere quello che non è. Si ammanta di bugie, senza neppure rendersene conto. Bisogna capirli, questi narcisisti: sognano il potere ma sono degli insicuri, vogliono il controllo totale, vivono di status e non sanno gestire un rapporto alla pari. Con nessuno. Hanno amici, amanti e lavori prestigiosi perché devono nutrire il proprio ego.  

Il guaio è che ti fregano. Vivi l'estasi di una connessione totale, di quello che sembra essere un amore speciale, mai provato prima. Invece, di amore, non ce n'è. Non c'è affetto, non c'è cura, non c'è empatia: queste persone non sono capaci di provarne, se non per sé stesse.

Nel corso degli anni ho cercato di attribuire svariate etichette a quello che mi era successo e alla persona che avevo incontrato. Cercavo di razionalizzare. Tuttavia, solo in tempi relativamente recenti ho capito. A lungo ho usato l’arte, la letteratura, la cinematografia come parametri per una spiegazione. Invece devi guardare altrove, e sollevare le pieghe della psiche per trovare la definizione giusta. 

Spesso gli amori tossici vengono paragonati alla dipendenza dalla droga. Senza dubbio una metafora potente e accurata, in cui c’è tutto: l’ossessione, l’abbrutimento, il non poterne fare a meno, la necessità di dosi sempre più forti per provare piacere. Tuttavia, io ne ho sempre scelto un'altra: quella del vampiro.

I vampiri prendono senza dare nulla. È esattamente quello che succede: tutto ciò che hai da offrire lo ruba colui che hai accanto. 

Accetti condizioni che mai avresti immaginato di poter accettare pur di ottenere la sua approvazione. Fai follie pur di mantenere vivo il suo interesse perché sai che non tollererà la noia. Hai costantemente bisogno che lui ti attribuisca quel valore che tu non credi più di avere. Vivere una relazione tossica vuol dire non essere capace di visualizzare le tue priorità: esistono solo le sue. E pur di sentirti alla sua altezza, i patti col diavolo li firmeresti col sangue. 

Sia chiaro una volta e per sempre. Queste dinamiche non accadono perché si è insicuri o bisognosi. Io sono una donna forte, e son stata una ragazza forte. Volitiva, determinata, con un'idea chiara del mio posto nel mondo. Tuttavia, è capitato anche a me, in un momento in cui ero più fragile. Perché tutti, tutti abbiamo delle pieghe di insicurezza e tutti possiamo trovarci in una condizione di vulnerabilità. 

E sia chiaro anche che un amore infelice non è una relazione tossica. Qui non si tratta di infedeltà o di difetti di comunicazione o di incompatibilità caratteriali. Far esperienza di questo lato oscuro dell'”amore” ti precipita in un vortice fatto di controllo, denigrazione, sistematico annientamento, vuoti e poi di nuovo, ma sempre più brevi, momenti di estasi. 

Com'è finita? Bè, è finita presto, probabilmente perché avevo già l'antidoto nella mia testa. È finita tardi perché, per pura vanità, volevo dimostrare di poter ribaltare le parti, di poter essere io in grado di controllare lui. È finita - ma lui non l'ha mai saputo - settimane prima rispetto a quando ho detto il fatidico basta. Era un pomeriggio d'inverno, ad una fermata di un autobus. Ebbi un'epifania. Mi dissi: se riavvolgessi tutte le sequenze di questa storia e poi le proiettassi come in un film muto, eliminando ogni parola, a cosa assisterei? Quello che vedevo, seduta su una panchina gelida, non mi piaceva affatto. Le parole e le azioni non collidevano. Avevo smascherato la bugia.

Ciononostante, a distanza di tempo, anche io – come molte persone nella mia situazione – tornai sui miei passi. Il tempo di una piroetta, sufficiente ad aprire uno squarcio irrimediabile su cosa avrebbe significato rimanere anziché andare via. Una provvidenziale preveggenza mi fece stabilire una nuova regola: non umiliarmi mai più. 

Perché c’è un solo modo in cui terminano queste storie: ripartendo da se stessi.