mercoledì 21 agosto 2019

Alla ricerca del rompicapo perduto


Dunque, io mi fisso su delle robe. Talvolta son personaggi inventati (leggi Thomas Shelby), talvolta son autori (al momento la mia mania è Dan Savage, se non ve ne foste accorti), talvolta son film, canzoni, libri, scritti di giornali (tipo, la rubrica "La prima cosa bella") e via discorrendo.
Una volta, i miei neuroni si son incaponiti su un rompicapo, il pentominoes. Una matrioska di fissazioni, tanto che vale la pena smontare e mostrare la bambolina pezzo a pezzo.

La storia inizia circa 16 anni fa – non me ne vogliate, ma la data esatta è persa per sempre – e inizia in un luogo nel quale son iniziate un sacco di altre storie: l'Alta Irpinia. Cosa ci facessi in "vacanza" in un paese del quale neppure sapevo il nome, con persone per lo più sconosciute, a fine estate vestita leggera leggera a morire di freddo è uno dei misteri che non ci accingeremo a risolvere in questa sede.
Fatto sta che mi trovavo in quello che avrebbe potuto somigliare ad un bar-cornetteria, ma che era più un'accozzaglia di sedie, tavoli minuscoli e drink analcolici e nel quale si cercava un modo per tirar tardi perchè a 20 anni mica puoi andare a letto come le persone normali? Certo che no: se non saluti l'alba ogni week end non hai vissuto abbastanza.

Ad un certo punto LO scopro: no, non il figo del paese. Il rompicapo. Pare sia stata un'epifania, giacchè risolvere il puzzle diventò la missione della serata. Niente da fare. Finì che il proprietario del presunto bar-cornetteria buttò fuori l'improvvisata comitiva prima che io, o chiunque altro, potesse riuscirci. E dire che mi ci ero giocata una cena. E dire che se avessi avuto la famosa bussola di Captain Sparrow avrebbe puntato dritto al mio sfidante: ciò che più desideravo al mondo, in quel momento, era che finisse quel maledetto tetris, intrappolasse anche me all'angolo e mi portasse lontano dalle mie ossessioni compulsive sull'amore.

Si tratta di un passaggio fondamentale questo. Già, perchè nella concitazione del momento – studia una strategia, gira i pezzi, flirta, punta e rilancia - dimenticai di chiedere come si chiamasse quell'arnese infernale. Non c'era Google Lens, non avevo uno smartphone con me e quindi non avevo la benchè minima idea di come fare a procurarmene uno, perchè cavoli: io dovevo riuscire a fare incastrare i pezzi in quel quadrato di gioco, era diventata una questione d'onore, ormai.

Ricordo di aver trascorso i successivi mesi a cercare una pista qualsiasi per scoprire il nome dell'oggetto misterioso, a cercarlo nei negozi, a casa della gente, nelle ludoteche, ovunque. Ragazzi, senza gli aiutini della contemporaneità anche risalire al nome di un gioco da tavolo era un'impresa complessa. Ma le mie fissazioni non si esauriscono nell'arco di una manciata di settimane. Ho una costanza e una testardaggine che possono durare anni. E così, circa 14 o 15 mesi dopo, credo mi trovassi in Costa Azzurra o a Parigi – posti più consoni ad una vacanza - fui premiata. E trovai il pentominoes, questo il nome dell'oggetto misterioso. Lo comprai alla FNAC, insieme ad un libro della Satrapi, altro grande amore dell'epoca.

Da allora, non ho mai smesso di giocarci. Ho imparato a trovare la soluzione per il livello principianti e per quello avanzato. L'ho portato con me nei vari traslochi, di Paese in Paese. Qualche giorno fa, l'ho proposto a Nadia, sicura che si sarebbe annoiata subito. Invece no. Si è impegnata tantissimo e, con una concentrazione straordinaria per una quattrenne, l'ha risolto in 25 minuti. 25 minuti. Senza aiuto alcuno. Benvenuta nel club degli ostinati, figlia mia!


"È utile avere un’ossessione: ci distrae."
(Joan Fuster)