venerdì 6 luglio 2018

Perhaps we shouldn't be having this conversation

Pensa a ciò che è stato e ciò che non sarà mai. Pensa a chi rimette tutto in discussione, logoro ma salvo. Pensa a chi racconta, sempre lì a pescare nel dolore, nel dubbio, nell'incertezza, nella nausea.
La felicità non è mai stata la musa di qualcuno.
Per cui, uno certi fantasmi se li coccola. Li evoca, quando sembrano essersene andati. Io ne ho bisogno per scrivere. Per scrivere, io penso a te. Alla distanza tra il te reale e il te dei ricordi. Alla delusione. Alla bellezza che svanisce, a noi che invecchiamo. Alle rughe e ai capelli bianchi. Un brindisi all'essere incompatibili e tacciamo della finzione. Come se non ci fossimo accorti del meccanismo perverso che inneschiamo.
Per scrivere, io penso all'amore perduto. All'amore che neanche sapevo di provare.
Già, mi ero innamorata. Dici: che idiota, davvero non te ne eri accorta? La chiamavo ossessione: giuro, non credevo fosse amore.
Penso ai difetti, che quelli solo ora li vedo. No, forse è vero, era ossessione: l'amore sa e tace, perdona e accetta. Le ossessioni divorano e sono impazienti, urgenti. Fremono di desiderio e si abbattono con rabbia nella vita, frantumandola.
Per scrivere, le fragilità vanno esaltate e la verità va nascosta, perché la verità non è mai stata davvero interessante. Overrated, come direbbe qualcuno.
Il processo creativo è un po' un mostro al quale ti dai in pasto, un dio cannibale al quale ti sacrifichi. Tutto, pur di vivere l'istante ancora e ancora, pur di esistere in uno svolazzo da tastiera. Pur di essere felice, ora.