martedì 16 agosto 2016

La fiction dei social media

Non scrivo per gli altri, scrivo per me. Il foglio è il mio confessore, lo psicologo. La pagina bianca è uno specchio in cui vedermi cambiato. Alle volte più maturo, altre volte semplicemente più vecchio.
Rimango sempre stupito di quanto questo esuli dal mezzo, oggi il cellulare, ieri il mio diario.
Ora, dunque, è il momento di specchiarmi, “riflettermi”. Darmi una sistemata e cercare qualche ruga in più. 

Questa storia dei social mi è un po’ sfuggita di mano. Non scrivo più, guardo soltanto gli altri e non so neanche il motivo, dato che la cosa mi annoia alquanto. Medito costantemente di cancellarmi, ma non lo faccio per paura di rimanere isolato.
Mi ricorda un po’ il film “One hour photo”.
Un tizio che sviluppa fotografie (Robin Williams) , guarda di nascosto le foto dei suoi clienti seguendo in maniera ossessiva una famiglia in particolare.
Nelle immagini stampate é immortalata una vita perfetta, persone semplici, sorrisi e abbracci.
Williams vive nel desiderio impossibile di essere come loro, fino a quando non scopre che il papà ritratto in quelle fotografie ha una vita parallela.
Insomma: quando ci facciamo una foto sorridiamo sempre, no? Anche se in realtà abbiamo appena litigato, pianto o semplicemente ci stiamo annoiando a morte.
Quella che rappresentiamo è una storia falsa… e mi pare pure giusto!
Prima, guardando un video “virale”, l’emozione ha preso il sopravvento: ho riso, poi ho pianto. La cosa più genuina sarebbe stato scrivere la mia reazione, ma non l’ho fatto, perché erano affari miei e non volevo lo sapessero tutti i miei “amici”.
Allora ho capito, forse. I social sono fiction. E non possono essere altro.
Sorridiamo, e facciamoci ‘sto selfie. Che ci sta pure bene se uno è in gita a Timbuktu.
Ma per te, non per chi ti legge.
Così magari ti riguardi tra qualche anno e pensi: ma che fine ha fatto quella giacca?
Alla fine è utile pure.
Ne ho le scatole piene di foto di gente sempre e ovunque, di quelli che reggono cartelli, degli aforismi motivazionali e soprattutto, basta alle foto degli spaghetti ai frutti di mare!
Qui c’è gente che soffre!
E ora ”Cheese”...

P. S.: ai miei amici di Facebook. In un brano bisogna sempre distinguere l’autore dall’uomo. L’autore dice cose che l’uomo non necessariamente condivide. Quindi mi dissocio completamente da me.
Luigi