martedì 20 aprile 2021

Capsula del tempo

Chi è che indossa collant viola? Probabilmente me lo devo essere chiesta anche io per molto tempo, dato che solo oggi ho aperto un pacchetto sopravvissuto ad una svendita nel negozio di mia madre, ad un trasloco internazionale e a vari cambi di stile.

Ancora più meravigliosamente strano del fatto che io abbia trovato un modo per indossare quelle calze è che nascondevano un segreto. Un minuscolo e spiegazzato foglietto, senza data, con alcune cancellature e una sfilza di parole dedicate a una persona che è stata importante una vita fa. Provo tenerezza per essere stata così naïve, visto che oggi ho finalmente trovato la giusta cornice per quel quadro storto, ma ciò non toglie la bontà dello scritto, appassionato ed autentico.

Ho riflettuto un attimo sul pubblicarlo o meno e ho deciso per il sì. Sarà a causa del fatto che ho perso tantissimi pizzini di quando ero nei miei mitici 20 e quindi ritrovarne uno mi ha particolarmente emozionato.

La me di allora buttava giù più o meno questo:

“Dunque, ricapitoliamo. Uno sta alla Feltrinelli per ingannare l’attesa mentre il treno è in ritardo. Vede un libro, quel libro, e prova il bisogno impellente di fare una foto alla copertina. Niente di troppo esplicito, neppure il titolo è leggibile. La devi voler capire, quella foto.

Ora, poteva finire così. Tuttavia, una si incuriosisce e allora decide a propria volta di mandare una foto. Solo una foto, senza didascalia e senza indizi. Passano pochi minuti e arriva un messaggio. Una risposta, un occhiolino. Due parole: “Marla, ovvio.” Un altro occhiolino. È scontato: tu vedi quel libro e pensi a me. Schegge di sentimento. Io vedo quel libro e penso a noi. A quando quel libro era il nostro pane quotidiano.

La breve conversazione che ne segue potrebbe anche non essere mai esistita. Le minuzie dell’ordinario non fanno presa su di noi.

Dimmi tu, comunque, il senso di quella citazione. Dimmi tu a cosa serve. Dimmi tu per quale ragione giocare. No, nessun giochino, potresti obbiettare. Solo un momento nostalgico. Sarà. Schegge di sentimento. È che devo ancora capire che nome darci, a questo sentimento. Lusinga? Arroganza? Superbia? 

Sai cosa mi piacerebbe? Mi piacerebbe sapere se e' vero anche per te che c'e' una piccola parte malata del nostro cervello che ci fa fare gli stessi arzigogoli mentali: una trappola seducente finché non cerchiamo di tradurli in realtà.

E ancora io mi chiedo se anche tu, al di là di ogni obbligo, di ogni scelta, al di là di ogni amore – vero, concreto, pulito, reale – non vorresti sapere se per entrambi esiste ancora il piacere di un momento insieme, di uno sguardo, di un ricordo condiviso, quello che ci pare. Se esiste ancora uno sciame sismico di parole tra noi. Le parole giuste però. Quelle che ti fanno giocare a carte scoperte, come queste. Quelle che ti fanno dire di sì anche se non ti fanno fare niente, non ti muovere, non ce n’è bisogno. Sussurra solo il mio nome. Il tuo nome. Solo una volta, solo un saluto, solo una confessione e poi nient’altro. Perché non c’è bisogno di infangare nulla. Non c’è bisogno di scendere a patti con sé stessi. Non c’è niente da buttare alle ortiche stavolta.

Perché tutto abbiamo già vissuto e tutto abbiamo bruciato. Tutti i limiti abbiamo già una volta superato. Però, dimmi, tirare il capo di quel filo e vedere se qualcun altro risponde – per una volta, una volta sola, una volta ancora – dimmi: non è qualcosa che vorresti sapere anche tu? Solo per ammettere: sì, siamo stati importanti. In che modo e in che forma, chi se ne importa. D’altra parte, non abbiamo mai puntato alla convenzionalità, noi. Ti lascio alla tua vita e tu lasciami alla mia. Le nostre vite perfette, che’ perfette per noi lo son davvero, io ci credo. Qui non si tratta di dover accettare nessun triangolo, nessuna presenza ingombrante, niente di niente. Solo quel filo. Solo quella piccola scossa. Solo sapere. Solo un sorriso. Solo un arrivederci invece di un addio.”

sabato 17 aprile 2021

The old news

La dipendenza affettiva non passa. I ricordi sbiadiscono: tu sei indelebile.

La combinazione di vanità e lussuria è esplosiva. La bomba atomica delle relazioni. Impazziti e senza meta, girovaghiamo nelle rispettive esistenze senza trovare la via d'uscita.

Esattamente quello che succede quando scrivo: giro giro tondo, quanto è bello il mondo, ecco che ritorno, nulla è come prima, tutti giù per terra.

La dipendenza ti fa credere di essere forte quando sei debole, quando ti si annebbia la vista dalle lacrime in una notte di fine inverno. Dici basta e poi ci ricadi perché la vanità di sentirti onnipotente prende il sopravvento. Invece, sei di nuovo alla mercé di una telefonata folle alle 3 del mattino.

E poi la noia: quella stanchezza palpabile che diventa la mia condanna. "Oltre, oltre a questo, cosa c'è?" Cosa posso fare io - ancella designata, vittima o carnefice – per non farti andare via? Perché senza quell’estenuante gioco mentale, quella ricerca dell'erotismo cerebrale assoluto, della compenetrazione più totale, estrema, avviluppante tu anneghi nella nausea.

Siamo come una vite malata abbarbicata ai tralci del risentimento e della depravazione.

Feroci e fatali, senza scampo.